2017 |  Matilda sei mitica!

domenica 13 agosto 2017

Il mestiere dello scrittore di Murakami Haruki.


A trentacinque anni dall'inizio della sua carriera, dopo essere stato acclamato in tutto il mondo e tradotto in cinquanta lingue, Murakami Haruki ci racconta il tortuoso percorso che lo ha portato al successo. Una storia, un'avventura, che ha inizio nell'arena letteraria giapponese degli anni '80 e poi si allarga a quella newyorkese, in concomitanza con il trasferimento dell'autore.



Titolo: Il mestiere dello scrittore
Autore: Murakami Haruki
Editore: Einaudi
Anno di pubblicazione: 2017
Pubblicazione giapponese: 2015
Genere: Saggio autobiografico
Traduttrice: Antonietta Pastore
Non so se questo volume possa costituire un manuale o una guida per chi vuole diventare romanziere [...] L'unica cosa che vorrei fosse chiara, è che io sono "una persona del tutto ordinaria" [...] Quando cammino per la strada non mi guarda nessuno, al ristorante di solito vengo accompagnato nei tavoli peggiori. Se non avessi scritto romanzi, nessuno mi avrebbe notato. Avrei condotto un'esistenza molto ordinaria nel modo più ordinario. Io stesso, nella vita quotidiana, non mi ricordo quasi di essere uno scrittore.


Trama. Col savoir-faire tipico e affascinante dello scrittore, ci accompagna per mano nei cassetti della vita che lo hanno di volta in volta fatto incontrare e scontrare con la scrittura. Tenta così un'analisi di tutto ciò che comunemente si tratta quando si parla di scrittura: chi è lo scrittore? Che profilo psicologico esistenziale gli si addice? Da cosa nasce il desiderio di scrivere? A cosa servono i premi letterari? Che cos'è, in un romanzo, l'originalità? Come nasce uno scrittore? Come rapportarsi con le abitudini e i ritmi che la vita quotidiana ci impone mentre scriviamo un romanzo? Cosa c'entra l'esercizio fisico con il mestiere dello scrittore? Quale formazione, per un romanziere? Chi sono e che importanza hanno i personaggi dei romanzi nella vita di chi scrive? Che rapporto avere con il pubblico? Perché espatriare?





Commento. Murakami Haruki sembra aver sfondato una porta non così tanto aperta regalandoci la sua esperienza di vita in un mondo in cui l'arte e la poesia vengono costantemente calpestate da priorità altre, più stringenti, per quel che ci insegna la nostra cultura. Un coraggio per mezzo del quale, contro ogni opinione severa a riguardo, ha scelto il mestiere dello scrittore come mestiere di vita.  Scrive, corre, si ritira, revisiona, trascrive, fa leggere una prima volta alla persona di cui si fida di più al mondo, sua moglie, con una solennità e una tenacia micidiali. Poi cerca di sfondare, dopo che la critica in Giappone vuole tarpargli le ali, negli Stati Uniti. Allora si rimbocca le maniche per cercare traduttori affidabili, intessere legami efficaci con la redazione del New Yorker, trovare l'agente letterario che fa al caso suo e continuare, anche dopo il successo conclamato, a scrivere per i suoi lettori. Lettori che sono sempre, inevitabilmente, legati a lui da un filo rosso di comunanza, dato che scrive innanzi tutto seguendo il suo intimo piacere, e mai per raggiungere "un certo target". Così scopriamo che una delle gioie che lo nutre di più è scoprire che un suo libro è servito come argomento di discussione per un padre e un figlio che non si parlano tanto, o che un altro è stato scambiato fra due amiche appassionate. Perché forse quello che ci unisce è proprio la poesia, e quegli obbiettivi che sembrano così stringenti all'uomo contemporaneo, hanno bisogno, talvolta, di essere sfondati dalla porta della letteratura.

martedì 7 marzo 2017

Alla seconda edizione del "Mini Festival degli autori emergenti" di Treviolo ho scovato alcuni personaggi interessanti.

Wilma Cavana, estetista briosa che usa il suo fantastico umorismo per sdrammatizzare le lamentele che si ritrova ad ascoltare tutti i giorni in cabina, si ritrova a scrivere episodi giocosi nei tempi morti, poi li mette insieme incoraggiata dalla sua amica Elena che la scopre a scrivere dietro al bancone, e le dice "ti faccio da editor"! Esce Voglia di bicicletta rosa edizioni Altromondo, anno 2015. Protagoniste tre donne e le loro strampalate avventure, storie un po' erotiche, un po' umoristiche, così fantasiose e scenografiche da far sentire un retrogusto felliniano, coi loro personaggi sospesi in una dimensione fuori dallo spazio e fuori dal tempo. Leggerezza e divertimento garantito, l'autrice sta sfornando il suo ultimo romanzo.

Elena Pagani, amica di Wilma Cavana e giornalista, ai tempi dell'università si innamora di Marian, un ragazzo albanese emigrato in Italia alla fine degli anni Novanta alla ricerca di un futuro migliore, dopo la crisi finanziaria albanese generata da un sistema di truffa del regime, appena crollato, ai danni dei cittadini. Ora vive e lavora in Albania, dove è tornato per aprire una sua attività, e aspetta un figlio da Elena, che con il pancione viene a raccontarci il suo libro sulla storia dell'Albania, uno dei pochi libri in italiano "a facile lettura" sulla storia albanese, che scrive per far conoscere un po' meglio questa terra "sorella" da secoli dello stivale, sempre oggetto di dominazione straniera, a volte anche solo economica. Dove i bunker diventano coccinelle, Besa editrice, titolo simbolo del processo di trasformazione e della capacità del popolo albanese di lasciarsi velocemente un passato buio alle spalle. Si è laureata in Relazioni Internazionali con una tesi sull' Albania: "Quando ho cominciato a frequentarla nel 2008 non c'erano nemmeno le strutture. Dava l'idea di un paese che avesse vissuto qualcosa di difficile nonostante non abbia avuto una vera e propria guerra al suo interno. Se ne avete l'opportunità andateci, ci sono posti meravigliosi e si aiuterebbe anche quell'economia un po' povera che sta cercando di rilanciarsi".

E infine Davide Cerullo. Ex camorrista di Scampia, nato e cresciuto, dopo la partenza del padre e la tossicodipendenza del fratello, nella malavita insieme alla madre, perché si sentiva in dovere di provvedere alla sua famiglia. A dieci anni la polizia lo cercava, a sedici i primi giorni in carcere, poco dopo gambizzato, ingessato in ospedale e subito bagno caldo per ammorbidire il gesso e tornare sulla strada. Poi l'aiuto di alcune pagine del vangelo che riportavano il suo nome, Davide, la sua voglia di riscatto. Una storia "da dentro" molto toccante, il Diario di un buono a nulla edizioni Sefe uscito nel 2016, si conclude con l'uscita dalla malavita e l'apertura a Scampia di uno spazio giovani "Centro insieme" dove si gioca, si legge e si cerca di togliere i bambini dalla strada. Uno spazio che accoglie esperienze umanitarie di molti giovani settentrionali che vogliono respirare il clima napoletano da vicino.

mercoledì 1 marzo 2017

Recensione: La ragazza dello Sputnik di Murakami Haruki

Così continuiamo a vivere la nostra vita, pensai. Segnati da perdite profonde e definitive, derubati dalle cose per noi più preziose, trasformati in persone diverse che di sé conservano solo lo strato esterno della pelle.
Titolo: La ragazza dello Sputnik
Autore: Murakami Haruki
Editore: Einaudi
Genere: Narrativa contemporanea
Collana: Coralli
Anno di pubblicazione: 2001
Traduzione: Giorgio Amitrano
Prezzo: euro 14,46
Pagine: 236
Origine del mio interesse: Approfondire la conoscenza dello scrittore



Trama: Sumire ha lasciato disillusa l'università per scrivere romanzi. Nella sua vita non c'era mai stato posto per nient'altro all'infuori del suo sogno di diventare scrittrice, mai avuto ragazzi e nemmeno provato alcun desiderio per loro. Ha però un amico a cui vuole molto bene, i due hanno un intesa speciale, lui è innamorato di lei da sempre e non osa dirglielo. Ad un matrimonio Sumire incontra Myu, donna raffinata e seducente che commercia vini con l'Italia e la Francia, ha lasciato in carico al marito l'azienda del padre, morto durante la sua giovinezza, in coincidenza con il ritiro di Myu dal conservatorio che frequentava in Francia, evento con il quale rinuncerà per sempre alla carriera di pianista. Fra le due sboccia l'amore, ma mentre Sumire è trasparenza e irruenza, Myu è soprattutto vita alle spalle e segreti chiusi a chiave in un cassetto: abile donna d'affari, calibrata, organizzata, non sembra trovare spazio in lei quella dirompente passione che travolge e sconvolge, come un tornado su una pianura, spazzando via tutto quello che trova, la vita di Sumire. In tutto ciò l'amico e voce narrante sta a guardare, geloso e sofferente, il freschissimo innamoramento di Sumire che con lui si confida. Finchè un viaggio, nello scenario mistico e esotico di un isoletta greca, farà da giro di boa alle vicende di tutti e tre, facendo emergere le loro parti in ombra, con pennellate che vanno dallo psicodramma a esperienze al confine col paranormale.


Commento: La prima metà circa del libro ha tutte le carte in regola per figurare come la premessa di una storia di vita passionale e coinvolgente, pagine nitide degne della più grande letteratura, poi succede qualcosa che lascia a bocca asciutta. Segue un cambiamento quasi di registro, a partire dal viaggio in Grecia, che lascia come per magia l'affrancamento sulla realtà, per passare alla narrazione di un intrigo ricco di supance. Le vicende diventano mano a mano sempre più spaventose proprio perchè sembra non essere più rintracciabile un filo logico, ci si ritrova incapaci di capire quando si travalica il confine del normale per immergersi nel paranormale, tanto assurdo quanto desolante. Insieme alla metamorfosi dei personaggi è come se si assista a quella del romanzo stesso. Pare che, sfruttando i buchi oscuri della logica e di ciò che sia o non sia verosimile, l'autore possa dire: “Se quello che sta accadendo è vero, allora sono riuscito a raccontarvi la più infinita tristezza di questo modo.”

Nel 1997 per "The Salon Magazine" Murakami Haruki ha rilasciato:

"Amo i film del terrore, Stephen King, Raymond Chandler [...] scrivo storie strane. Non so perché mi piaccia tanto tutto ciò che è strano. In realtà sono un uomo molto razionale. Non credo alla New Age, né alla reincarnazione, ai sogni, ai tarocchi, all'oroscopo. Ma quando scrivo, scrivo cose bizzarre. Non so perché. Più sono serio, più divento balzano e contorto"

E voi l'avete letto?
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Confliggere in sicurezza

Il potere del sentire



Giuseppe Morosini
Venerdì 17 febbraio a Ranica si è tenuta la quarta conferenza di psicologia gratuita del ciclo di incontri sul tema “Sicurezza”, progetto organizzato dal Comune di Ranica e il Centro Divenire, centro di cura e sviluppo della persona. Ospite Giuseppe Morosini che ci parla di “Confliggere in sicurezza”.
Per molti di noi sarà una bella notizia scoprire che il conflitto fa parte di una relazione sana: è nella fisiologia della convivenza. Ciò che più spesso ci atterrisce del conflitto sono le conseguenze sgradevoli che gli attribuiamo, le brutte sensazioni che ci fa vivere, in un ottica negativa: quante volte abbiamo sentito senso di colpa? Quante abbiamo detto: “Non ne vale la pena”, oppure “Meglio evitare, per amore della pacifica convivenza”? Quanti invece si sono sentiti dei mostri per aver aggredito verbalmente il collega, un sottoposto o il tizio che guidava troppo lento nel traffico?

Ciò che il Dottor Morosini sottolinea fin dall'inizio della conferenza (attualmente si occupa di gestione del personale e di conduzione delle equipe professionali all'interno di tre cooperative sociali ONLUS) è che il conflitto bene o male attraversa le vite di tutti. I bambini litigano fra loro e coi genitori, gli adolescenti con gli insegnanti e nel mondo nel lavoro... beh, si sa!
Tanto vale attrezzarci di conseguenza e iniziare a domandarci: Cos'è per me il conflitto? Come mi comporto? Cosa sento? A cosa serve il mio comportamento? Immaginiamo una situazione ben specifica.
Bisogna anzitutto dire, per tirare un bel sospiro di sollievo, che se c'è conflitto allora c'è relazione: dev'esserci un clima per cui io mi sento libero di esprimere il mio parere. E questo succede non in tempi di guerra e repressione, ma in tempi di pace. Ricordate un regime in cui fosse ben vista la libertà di pensiero e di parola? Perciò è bene ricordare, almeno per partire un po' carichi di coraggio, che il conflitto si sviluppa in una condizione di pace, nella pace ci sentiamo in diritto di dare la nostra opinione. Nel dizionario italiano il termine conflitto ha un significato simile a quello di guerra, ma all'inizio non era così, a meno che non ci si rifaccia all'idea che della guerra avevano i Romani, la quale non prevedeva lo sterminio del nemico.
dott.ssa Gloria Volpato e dott. Michele Crespi

Inoltre è molto interessante notare come molti conflitti, ancor prima che fuori, nascano dentro di noi. Racconta il professor Morosini che per cambiare la sua vita e passare da progettista in un azienda metalmeccanica a counsellor, cambiando completamente la mission del suo lavoro oltre che l'ambito professionale, ha dovuto risolvere un conflitto interiore, quello che c'era fra lui stesso e la parte di lui che voleva evolvere per poter trovare il modo di realizzare i suoi desideri più profondi.

Ma torniamo al conflitto interpersonale. Alcune dritte: anzitutto esplicitare il conflitto scegliendo il luogo e il momento adatto per poterne parlare ed eventualmente scegliere di lasciar raffreddare le acque se le emozioni che stiamo provando sono troppo intense. Ognuno reagisce diversamente, tant'è vero che alla conferenza il pubblico è intervenuto per raccontarlo e ogni contributo è stato un tassello del mosaico di possibilità. Alcune domande possono aiutarci a comprenderci meglio, ad esempio: “Qual è l'emozione che sto provando in questo momento?”, “Cosa mi porta a provare questa rabbia/paura/frustrazione/angoscia/tristezza?”, “Com'era vissuto il conflitto nella mia famiglia d'origine?”, “C'erano delle emozioni che non potevo manifestare? Rabbia? Paura? Gioia? Tristezza?”, “Mi sentivo libera/o di esprimere il mio punto di vista oppure ero impaurito?”. Le forti emozioni che ci fanno perdere il controllo, come quando diciamo che ci va il sangue alla testa, sono controproducenti per il nostro dialogo. Derivano da una parte bambina di noi.

Secondo l'analisi transazionale possediamo, nessuno escluso, purchè adulto, una parte bambina, una genitoriale, quella che ci vieta ad esempio di comprarci quel vestito che abbiamo visto in vetrina perchè costa un occhio della testa e abbiamo un portafoglio che scarseggia, e una parte adulta. È bene che in un conflitto riescano a incontrarsi le parti adulte dei due, quelle che sanno tenere conto dei nostri bisogni intimi ma anche dei bisogni dell'altro, e al tempo stesso sanno prendere decisioni che prevedono la mediazione e il compromesso. Domanda A: “So quali sono i miei bisogni?”, domanda B, “So ascoltare i bisogni dell'altro?” e senza giudicarlo? A volte per paura di cedere dalla nostra ferrea posizione non ascoltiamo affatto il nostro interlocutore oppure lo ascoltiamo solo con lo scopo di controbattere.
Dai conflitti si può uscire vincenti se ci sentiamo in grado di gestire il confronto con l'altro. E se, male che vada, il conflitto non si è risolto, ce ne andremo con una visione in più del problema, quella dell'altro, anche se non la condividiamo. Questo significa sostare nel conflitto, sapere che non perdiamo nulla di noi stessi se anche abbiamo visioni contrastanti. Anzi, ci arricchiamo con un nuovo punto di vista.

Il posto sicuro del cuore

Mindfulness e piena presenza


Venerdì 20 gennaio al centro culturale di Ranica ritorna l'appuntamento mensile con le conferenze de “Il potere del Sentire”, la proposta gratuita organizzata dal comune di Ranica con il centro di psicoterapia di Torre Boldone, il Centro Divenire. Titolo dell'evento: “Il posto sicuro del cuore: mindfulness e piena presenza. Come e perchè ci impediamo di vivere la nostra vita pienamente”. conduce Roberto Maria Sassone, psicologo ed esperto italiano in analisi reichiana.

A volte sono degli eventi traumatici a farci sentire vivi per la prima volta, d'un tratto riusciamo a sentire tutto intensamente. Pensiamo alla perdita di un nostro caro o all'abbandono da parte del nostro fidanzato/a. È lì che comincia la strada della ricerca interiore. Cominciamo a volere qualcosa di più, non ci è più possibile andare avanti come prima. Abbiamo vissuto la nostra vita superficialmente e, ad ognuno di noi sarà capitato, grazie a un evento inaspettato, a una persona oppure grazie a un libro, ci siamo detti: “Ma io non mi sono mai sentito veramente!”.
E allora vogliamo come risvegliarci. Risvegliarsi è la parola di una ricerca interiore.

Cosa significa risvegliarsi nella vita di ogni giorno? Significa essere consapevoli di se' mentre si sta vivendo -“ Sono consapevole di sentirmi vivere!”- è il mattoncino fondamentale. La ricerca interiore non è qualcosa di mistico, metafisico o aleatorio.

La spiritualità ha origine nel sentire, sentire significa avere la percezione del corpo. Per questo Roberto nel suo lavoro di psicoterapeuta ritiene importantissimo fare riferimento continuo al corpo. E spesso i suoi pazienti non sono capaci di rispondere alla semplice domanda “cosa senti?”. Rispondono cosa pensano, o ancor peggio, quello che credono di dover sentire.
Ma che cos'è che ci impedisce il sentire?
La nostra corazza caratteriale. Ovvero tutto ciò che abbiamo adoperato per difenderci nella vita. Questo difenderci a volte ci costringe a distorcere il nostro sentire naturale e tendiamo a entrare nella mente, come per rifugiarci. Scrive Lowen, psicologo importante del Novecento: “Quando mente e corpo sono separati la spiritualità diventa un fenomeno intellettuale”. E ancora: “ il corpo despiritualizzato è caratterizzato da una relativa insensibilità e mancanza di grazia. La vera grazia non si impara: è un dono di natura in quanto dono di Dio.”

Sarà pur strano che uno psicologo parli di Dio e di grazia?
Forse no. Roberto Maria Sassone è anche istruttore di mindfulness psicosomatica e alla conferenza ci da una piccola dimostrazione di cosa sia questa pratica che gli orientali utilizzano da sempre e da sempre connettono al mondo della spiritualità: la meditazione. Possiamo educare la nostra mente.
D'altra parte anche la mente è corpo. Possiamo immaginare qualcosa di noi che non sia corpo? La mente è qualcosa con cui il nostro corpo si manifesta. Possiamo perciò considerare la mente come una realtà ben specifica, fatta di una consistenza reale su cui si può lavorare.

Cos'è meditare?
Innanzitutto un lavoro, una pratica che ha bisogno di costanza. Può essere due cose: un azione o uno stato. Fare meditazione vuol dire praticare un processo che porti a uno stato: l'esserci. Meditare vuol dire esserci. Ma allora in che campo siamo? La spiritualità non è distaccata dalla psicoterapia. Per sentirsi è necessaria l'attenzione. L'attenzione è la leva fondamentale per imparare a sentirsi vivere.

Cosa ci impedisce di stare nell'attenzione?
Il fatto che ognuno di noi è imprigionato in un personaggio, un credo, una morale, una emozione distorta. Se c'è l'attenzione non ci si può perdere in una cosa. E per mantenerla viva qual è l'appiglio? Il corpo. Tornare al respiro. Qui c'è tutto il buddismo. Il respiro fa emergere il sentirsi, il sentirsi è nel corpo. È di una banalità incredibile. È la nostra struttura ciò che ci consente l'esperienza del vivere. Il respiro è una dimora. Ogni volta che ci perdiamo, l'attenzione sul respiro ci risveglia. Mi accorgo che un secondo prima non c'ero, ero immerso in qualcosa, magari camminavo o facevo sesso ma non c'ero. L'esserci è un assetto diverso del nostro sistema e questo ormai è appurato dalle neuroscienze.

Perchè la meditazione funziona? Perchè il nostro corpo memorizza un assetto diverso. Attraverso la pratica costante questo assetto diventa poi una nuova modalità funzionante. Più si pratica e più si allena il muscolo metafisico della concentrazione.
L'esperienza dell'essere umano è la continua trasformazione della realtà interna ed esterna. Ai cambiamenti non esistono soluzioni facili, ne strade che ci evitino di sentire il dolore, ma un aiuto pratico è cercare con coraggio rifugio nel proprio cuore e praticare con costanza e la meditazione ci aiuta a riconnetterci al nostro centro vitale, attraverso il respiro. Il centro di noi stessi. Sentirsi a casa: questo il primo passo per uscire dai momenti di crisi e prendere in mano la nostra vita.

domenica 26 febbraio 2017

Sinibaldi di Radio3 a Presente Prossimo: "Nella cultura sono saltate muraglie".

Chi critica l'italiano scorretto dei giovani commette un errore sulla realtà.



Marino Sinibaldi, direttore di Rai Radio 3, è stato ospite sabato 25 Febbraio al festival Presente Prossimo: ha dialogato all'auditorium di Ranica con Fabio Cleto sul tema della cultura.

In una congiuntura storica come la nostra, intrisa fino all'osso di cambiamenti epocali, non si poteva non prestare attenzione al protagonista indiscusso di tali trasformazioni: il web.

Quali sono gli effetti della digitalizzazione della cultura?

Sono saltate delle muraglie, quelle che prima si frapponevano fra le persone e l'oggetto culturale del loro desiderio: si può ascoltare un brano di Mozart senza avere uno zio collezionista, oppure i libri che diventano famosi non sono più solo quelli scelti dalla terza pagina del Corriere della Sera come avveniva in passato e, questi sono dei seri problemi, si arriva fino alla violazione dei diritti d'autore e alla distruzione di carriere. Ma i problemi posti dall'abbondanza sono meglio di quelli posti dalla scarsità. Il nostro secolo è caratterizzato, grazie a questo allargamento del mondo che si è prodotto con internet, dall'abbondanza di cultura. È possibile seguire le nostre passioni fino all'ossessione, grazie ai gruppi e alle comunità che si trovano in rete.”

“Però tutto ciò produce smarrimento. Ad esempio se parlo ai miei studenti di cinema, loro non sanno chi sia Woody Allen” replica Fabio Cleto. “Non c'è oggi, proprio a causa della rottura delle barriere culturali, una rinnovata necessità di figure guida? Di mediatori nella cultura?”

“Ogni epoca in cui c'è stato un cambiamento importante ha vissuto uno smarrimento. Basti pensare alla scoperta dell'America, in concomitanza della quale, guarda caso, sono saltati tutti gli equilibri in Europa. Anche le innovazioni prodotte dalla tecnologia prima e dopo la prima guerra mondiale, l'automobile, il telegrafo, la radiotelegrafia, la radiofonia e poi la televisione, sono solo alcuni fra gli elementi che hanno sconvolto la nostra società.”

Non per questo è lecito guardare con nostalgia ai tempi passati. I nostalgici dell'italiano corretto?

“Beh, penso che quei professori che hanno denunciato il cattivo italiano dei giovani d'oggi abbiano dimostrato un pregiudizio del tutto singolare rispetto alla realtà. A tutte le generazioni è stato detto dalla generazione più anziana, depositaria di un sapere elitario e istituzionalizzato, che si stava distruggendo la lingua italiana, ma a questo punto viene da chiedersi se il vero italiano corretto non sia da ultimo quello di Dante! Idem per coloro che ritengono che i giovani stanno perdendo la concentrazione e la memoria a causa dei tablet e dei cellulari. Siamo all'interno di un tema enorme che è quello del rapporto fra le generazioni, in questo caso è lecito usare la parola, anche se la odio a morte.”

E' lo stesso per quanto si dice della crisi dei giornali?

“Le notizie le leggo sulla carta, perchè ha una organizzazione del mondo che mi è più congeniale, essendo cresciuto nell'epoca dei quotidiani, ma credo che non ci sarà molto futuro per la carta stampata. E se questo suscita in noi un'idea di decadenza, non dobbiamo dimenticare (e la cultura talvolta serve proprio a non dimenticare) che i giornali a loro volta sono stati una novità che ha impiegato centocinquant'anni ad affermasi. La gente in particolare non capiva perchè dovesse accadere qualcosa di importante ogni giorno. Avere un atteggiamento nostalgico ci impedisce di vedere le sfide che abbiamo di fronte a noi e ci impedisce di vedere anche i veri pericoli.”

Mi viene in mente, ad esempio, che su internet si tende ad avere una lettura sbrigativa.

“L'online e la gratuità delle notizie rischiano di abbassare le nostre pretese sulla qualità dell'informazione: è un grosso rischio. Il Washington Post ha svolto un inchiesta non molto tempo fa su quanto a lungo il lettore si soffermasse su una pagina online ed è risultato che più della metà abbandonano la pagina prima di aver finito di leggere l'articolo.”

Questo è indice di una mala informazione? O è solo un dato di fatto che dobbiamo prendere senza giudizio nostalgico?

Ai lettori la risposta.

mercoledì 22 febbraio 2017

Primo appuntamento con Murakami Haruki



E' appena uscito il suo Il mestiere dello scrittore, leggo l'autore per la prima volta nei suoi esordi Vento & Flipper e mi innamoro.


A pochi giorni dall'uscita in Italia de Il mestiere dello scrittore per Einaudi, finisco di leggere i suoi due primi romanzi. Ascolta la voce del vento del 1979 e Flipper, 1973 (qui la recensione) scritto l'anno dopo. Pubblicato sempre per Einaudi nel 2016, la prima edizione legale in Italia, l'autore infatti non ha mai autorizzato l'uscita di questi due romanzi fuori dal Giappone e quindi si erano create copie clandestine, accorpa i due lunghi racconti insieme e l'autore fa una intensa prefazione in cui si svela un po'. Racconta, mi trema la gola e sento che non sarò mai all'altezza di scrivere l'articolo, questo l'effetto di avere appena finito di leggere qualcosa di Haruki, di quando nel 1979, all'età di trent'anni, venne illuminato da un colpo di battuta di una pallina bianca che si stagliava ben visibile sul prato verde di un campo da baseball nel mezzo di una partita della squadra che tifava all'epoca, giornata di sole, birra alla mano, steso su un prato soffice. In cosa consistette questa illuminazione? Capì che sarebbe diventato uno scrittore.

Mi sento di degnare del dovuto rispetto questa montagna della letteratura non solo a priori. Leggere Murakami Haruki, seppur alle sue prime armi (questa, forse, la ragione per cui non ha voluto, prima di oggi, far circolare i suoi primi lavori: perchè li giudicava troppo embrionali?) fa percepire subito una qualità della grande scrittura: il tempo che si dilata. Lo scrittore è capace di trasformare il tempo della realtà per farlo coincidere con il tempo della finzione, non c'è fretta, né di raccontare, né di far volgere un intreccio, all'improvviso non si è più nel mondo reale ma in quello della narrazione, grazie alla lentezza che le parole sono in grado di creare dentro di noi. Tutto il nostro corpo sembra aggrappato al testo. Se c'è la dovuta pace nei paraggi. E non perchè si stia verificando un assassinio o perchè una coppia di innamorati è alle prese con vicissitudini strappalacrime, ma solo perchè un ragazzo sta parlando in un bar e tira una boccata di fumo.

Così, dopo i primi cenni autobiografici della prefazione di Vento & flipper e dopo aver immaginato per lunghi giorni che queste storie ricalcassero la giovinezza dello scrittore, per poi, solo in un secondo momento, disilludermene amaramente, ho fatto gli occhi a palla dallo stupore quando ho letto l'email del libraio di fiducia per Einaudi che mi inviava le anteprime di febbraio, fra cui c'era Il mestiere dello scrittore di Murakami Haruki. Sono esplosa di gioia.

Per cui senza alcun dubbio la prossima recensione sarà su Il mestiere dello scrittore di Murakami Haruki.

Non appena riuscirò a procurarmi il testo.

Vento e Flipper di Murakami Haruki

I primi romanzi dell'autore pubblicati per la prima volta in Italia.


Titolo: Vento & Flipper
Autore: Murakami Haruki
Editore: Einaudi
Genere: raccolta di due romanzi brevi
Collana: Supercoralli
Anno di pubblicazione: maggio 2016
Traduzione:Antonietta Pastore
Prezzo di copertina: euro 19,50
Pagine: 229

" E' così strano, è come se le cose non fossero accadute veramente, disse.
Sì che sono accadute. Poi sono semplicemente svanite. E' difficile, per te?
No. Scossi la testa. Le cose che arrivano dal nulla, prima o poi tornano nello stesso nulla. Tutto qui. "

Trama:

Ascolta la voce del vento Due studenti sono fotografati durante una lunga estate, alla fine della quale si dovranno salutare per seguire i loro studi universitari. Il Sorcio è lo spaccone senza obiettivi che non ha mai preso per le mani un libro e beve troppe birre, ma anche un ragazzo di ricca famiglia che sente sul collo tutto il peso della sua condizione privilegiata. Il protagonista, mai chiamato per nome, è un ragazzo sensibile, alle spalle una storia d'amore dall'epilogo tragico, vive alla giornata ritrovandosi ragazze nude nel letto, fumando sigarette, leggendo in riva al mare. I due diventano amici senza una ragione, si ritrovano al bar ogni giorno a bere una birra e poi a parlare di questioni esistenziali. Entrambi però vengono scossi dalla loro routine dalla presenza di due ragazze. Il protagonista incontra un' ubriaca stesa in mezzo al bar, il Jay's bar, il luogo di ritrovo dei due, che fa la commessa di un negozio di dischi e non ha dito mignolo, mentre il Sorcio pare frequentare una ragazza di cui non vuole parlare ma che a un tratto si decide di presentare al suo amico, per poi tirarsi indietro all'ultimo. Nel mezzo scorrono in sovrimpressione le loro questioni pungenti: il Sorcio vuole abbandonare l'università, forse per fare un torto ai genitori, il protagonista ha fra le mani un destino da salvatore cronico di ragazze malandate con cui cerca di fare i conti senza riuscirci. E alla fine dell'estate se ne dovrà andare e salutare l'amico a cui è affezionato, nei confronti del quale nutre una certa preoccupazione.

Flipper, 1973 Pochi anni dopo il nostro studente di Lingue ha trovato lavoro a Tokyio come traduttore, ha aperto un'agenzia insieme a un collega, una segretaria dalle gambe lunghe gli porta tè e biscotti a metà pomeriggio e gli cuce i pullover bucati. Quando torna a casa ci sono le due gemelle ad aspettarlo, gli preparano la cena, lo scaldano sotto le coperte e lo accompagnano nelle passeggiate della domenica. Le due gemelle sono mantenute da lui che in cambio riceve affetto e cure domestiche, sentendosi di contro in dovere di assecondarle in ogni cosa: per cui un giorno decidono di andare al bacino della centrale idrica per fare il funerale a un quadro di comando del telefono non più utilizzabile. A spezzare questa nuova routine è la vivida immagine dentro di lui di un flipper, un modello particolare col quale aveva giocato tempo prima. Lo cercherà e arriverà, grazie all'aiuto di un professore di spagnolo, a un tu per tu con questa scatola rumorosa e luccicante piena di ricordi. In parallelo, quasi a sottolineare che c'è ancora un forte legame, viene raccontata la vita del Sorcio rimasto fermo al Jay's bar, la cui spalla è diventata Jay stesso, il proprietario cinese di mezza età. Sembra infelice e tormentato, oltre che dalla ricerca di un senso, nelle sue giornate che cominciano all'apertura del bar e finiscono all'alba, dalla ricerca di una ragazza che lo vuole vedere solo il venerdì, della quale resta in attesa per tutta la settimana e, quando proprio non ce la fa più, prende la macchina e raggiunge il molo per fissare la finestra del suo appartamento. Ogni volta, pieno di pensieri, si addormenta sdraiato sul sedile, fino a che un giorno non decide di dare un taglio alla sua vita e programma una partenza.

Commento:

L'amicizia, la solidarietà fra due persone che provano un dolore inspiegabile e nemmeno troppo mostrato. Il Sorcio soffre per la ricchezza alla quale è condannato dalla famiglia e per la sua incapacità ad affezionarsi alle donne. Il protagonista, verso il quale l'autore è un po' autoreferenziale, è uno che ottiene sempre quello che vuole nella vita, perchè tutto si può dire di lui tranne che non faccia con serietà il suo lavoro, ma si riferisce anche al successo con ogni donna che incontra, dalle quali viene trattato quasi con dedizione materna e tuttavia ha un senso di insoddisfazione profondissima che lo porta a essere sempre tirato nel mezzo delle vite degli altri come un protagonista fuori luogo, oppure lo porta a trasformare l'immagine di un flipper che gli gira nella testa in avventura romanzata. Un uomo che vive di sensazioni, silenzi e sigarette. L'espediente di riportare frammenti alternati delle diverse vite dei due protagonisti in Flipper e invece passato e presente in Vento, fa vivere la lettura con una buona dose di suspense senza mai permetterci di perdere il filo della trama o di farci venir voglia di saltare le pagine.

domenica 12 febbraio 2017

Un racconto di fanciullo: Aspettando Bojangles

Dal suggerimento di un'amica, una proposta di lettura innocente come le parole di un bambino. Un esordio francese targato Neri Pozza.



Romanzo di esordio dello scrittore francese Olivier Bourdeaut. Prima di pubblicare il suo primo libro è stato agente immobiliare, factotum in una casa editrice di libri scolastici e poi raccoglitore di fiori di sale di Guèrande. In Francia il suo primo lavoro è stato accolto con successo da pubblico e critica.

Questa è la mia storia vera, con alcune menzogne a dritto e altre a rovescio, perchè spesso la vita è così.

Titolo: Aspettando Bojangles
Autore: Olivier Bourdeaut
Editore: Neri Pozza
Genere: Romanzo
Collana: I narratori delle tavole
Anno di pubblicazione: Marzo 2016
Traduzione dal francese: Roberto Boi
Edizione francese: 2015, E'ditions Finitude
Prezzo di copertina: euro 15
Pagine: 141

Trama:

copertina francese
Una famiglia un po' insolita viene raccontata dalla voce di un bambino che guarda alle sue giornate come strepitose avventure. Una mamma fuori dall'ordinario gli chiede di raccontarle delle storie inventate per farla divertire, gioca con lui ai salti sul divano e balla, prepara cocktail di Margarita e invita alle feste il “senatore” amico di papà, un uomo pancione e sempre sudato. Un papà parcheggiatore di auto è riuscito a fare così tanti soldi da non lavorare più, a tratti prende le fila della narrazione per dire di come ha incontrato la donna che ama così tanto, a cui da un nome diverso ogni giorno e che balla con un pennuto vestita di stoffe svolazzanti nel mezzo di un party zeppo di uomini d'affari, alla ricerca di un uomo da sposare. Una donna che possiede un anima selvaggia incurabile che subito trafigge il cuore di questo burlone che racconta frottole ai commensali per attirare l'attenzione.

Commento:

Olivier Bordeaut
Quel che ci
dice Aspettando Bojangles è che un bambino non sa cosa significhi avere una vita normale. Una mamma normale. Che l'amore attraversa questi confini, persino quelli della stramberia e della pazzia per realizzarsi all'interno delle quattro mura domestiche e ciò avviene a discapito di ciascuno dei tre protagonisti. La tenerezza ci coglie impreparati quando leggiamo le parole d'amore di questo bimbo per la sua mamma, per poi scoprire di quali pegni si faccia carico un affetto sconfinato. Durante un viaggio che li porterà a un punto di rottura, avviene quanto si è sempre cercato di rimandare: prende forma il problema, così ben celato lungo tutte le pagine della storia dall'entusiasmo e dalle avventure quotidiane di una vita fuori dall'ordinario. Ordinario e follia si sovrappongono in piani indistinguibili, perchè a renderli uguali è il punto di vista di un bambino innamorato, una creatura ancora sprovvista di un metro di giudizio della realtà. Il male non è mai chiamato col suo vero nome, i protagonisti sono bugiardi in senso stoico, cercano di definire la realtà sulla base della loro intima visione del mondo, onirica, creativa. Perchè il mondo è a tratti sbilenco e mai logico, univoco.