2016 |  Matilda sei mitica!

martedì 29 novembre 2016

Recensione: Un solo paradiso di Giorgio Fontana


Attesissimo dalla critica, il nuovo romanzo di Giorgio Fontana, classe '81, talentuoso reporter di Babele 56, reportage narrativo sull'immigrazione a Milano, e autore di altri quattro romanzi, gli ultimi usciti per Sellerio, vince il Premio Campiello nel 2014 con Morte di un uomo felice. Arriva nel mio scaffale di curiosa cronica perché è una novità in circolazione. Cosa ne penso di questa pubblicazione? Una storia intensa e forse un po' troppo cupa, che tuttavia ben ricalca un fatto ai più disconosciuto: anche gli uomini soffrono per amore.


Titolo: Un solo paradiso

Autore: Giorgio Fontana

Editore: Sellerio

Genere: Romanzo

Pagine: 194

Prezzo di copertina: Euro 14,00

Anno di pubblicazione: 2016

Trama:

Milano oggi. Un trentenne ha appena avviato la sua attività autonoma e sta tornando stanco e pieno di dubbi verso casa, quando decide di fermarsi a bere una birra al Ritornello, il vecchio bar che frequentava con la sua combriccola. Qui trova con stupore Alessio, un amico che non si faceva vedere da tempo, seduto con aria sperduta e aspetto trasandato. Alessio decide di raccontargli la sua storia, di quando si è innamorato di Martina, delle lunghe passeggiate dei primi tempi, di quando la prima volta la baciò in un vicolo della città che soffiava farina calda fuori da una panetteria, nel cuore della notte, della loro vacanza insieme. Dei primi cedimenti, incomprensioni e malumori, i quali, invece che trasformare la relazione in senso più maturo, hanno finito per far crollare le certezze di entrambi, spingendo l'una fra le braccia del mai dimenticato ex fidanzato manipolatore e l'altro in un baratro di crisi esistenziale. Comincia qui il vero romanzo, nel momento in cui Alessio mette piede nella sua solitudine cronica, nel momento in cui l'amore con la A maiuscola scuote irrimediabilmente il suo animo, al punto da consegnarlo a una serie di ansie implacabili, affievolite dagli Xanax, dai viaggi compulsivi e poi dall'alcool. Un intera esistenza scossa dall'abbandono di una donna.
Giorgio Fontana

Commento:

Il racconto di un abbandono al maschile, che con grande novità mette in luce gli aspetti della fragilità dell'uomo, quello sbandamento a volte solo di qualche bevuta, a volte insanabile, di colui che scopre, grazie al primo amore, anche la prima grande sofferenza. Le fatiche che l'esistenza ci consegna di fronte alla perdita. E ancora: la travolgente passione della simbiosi amorosa, incapace di comunicare, che si rifugia nel sesso per sanare le incomprensioni. Il panico della separazione. Nel contorno c'è una Milano labirintica e per giunta rassicurante, che offre al protagonista lo spazio per viaggiare a vuoto, in lungo e in largo, senza meta, allegoria del viaggio apparentemente senza senso che Alessio si trova a dover compiere dentro di se. Una grande solitudine. Non c'è un vero punto di svolta, Alessio è un personaggio che sta di fronte alla perdita senza mai affrontarla, una caricatura mostruosa, la faccia dolorosa dell'essere amati, la paura, l'incubo. Un racconto del terrore, un salto mortale nella caverna oscura delle nostre insicurezze, che si annidano in uno spazio minuscolo dentro di noi, ma saltano fuori quando Amore, con forza imperante, chiede di arrenderci ad esse.

giovedì 13 ottobre 2016

venerdì 7 ottobre

Stati di Grazia nella Disgrazia





La conferenza gratuita di psicologia di proposta dal Centro Divenire di Torre Boldone in collaborazione con il Comune di Ranica si apre con un titolo ambizioso.

Ospite il professore all'istituto Berne di Milano, psicologo, psicoterapeuta, consulente per le organizzazioni, trainer, supervisor, autore di diversi libri fra cui “Amore limpido”, un viaggio nell'evoluzione del significato della funzione dell'amore per l'essere umano, Giorgio Piccinino. Ci ha parlato della sua esperienza di perdita della persona amata in seguito a un lungo percorso di malattia grave. Il suo intento era mostrarci la possibilità di essere felici nel dolore, “Momenti di grazia nella disgrazia”, questo il titolo della conferenza, chiedendo al pubblico e riuscendoci con grande risultato, di condividere, se ci fossero stati nella loro esperienza di malattia o di lutto, momenti simili.

E' proprio per questo che dal canto suo chi lavora nei reparti terminali o di patologia infantile è restio a cambiare reparto, perchè dal quel cumulo di esperienze a volte laceranti per la persona che soffre ne esce un grande insegnamento per la persona che assiste e, se gli sta vicino con sapienza, anche grandi momenti di gioia. Forse perchè in quelle occasioni rallenta tutto: “Di quando mia nonna ha fatto la chemioterapia mi ricordo solo una cosa: rimaneva tutto lì, in uno spazio piccolo, concreto, per il resto non c'era più spazio”, dice una persona del pubblico. Forse perchè andare verso l'altro a mani vuote rende semplicemente felici: “io gli dicevo: non so cosa dirti, ma resto qui con te. Parlava l'ammalato, io lo ascoltavo e andavo via contenta”. Forse perchè siamo geneticamente programmati per provare gioia quando facciamo del bene: un video proiettato durante la conferenza riprendeva donne che si erano rasate la testa in solidarietà a un amica che aveva il tumore, “quelle persone hanno trovato una parte di se' che non sapevano neanche di avere”, sottolinea un'altra donna, una parte amorevole, un comportamento di tutela nei confronti dell'altro che ci rende più forti, in netto contrasto con il sentirci più forti tagliando la testa dell'altro, ergendoci su un piedistallo di superiorità. Forse perchè “quando mio cognato è stato male mi sono sentita molto riconosciuta da lui, riconosceva in me una persona che non avrebbe usato la sua fragilità per fargli del male”, e questo ci rende felici, aggiunge il dottor Piccinino. Secondo un meccanismo di rinforzo e allarme noi esseri umani siamo “allarmati” dalle cattive sensazioni come la paura e la tristezza perchè ci indicano che non stiamo facendo del bene per noi e al contrario siamo “rinforzati” quando proviamo gioia, la gioia è il premio che viene a dirci che quanto stiamo facendo è un bene.

Sì ma come si fa a stare vicini alla persona che amiamo e che soffre senza farci trascinare dalle inevitabili ansie e preoccupazioni per la sua salute o dal suo stesso dolore?
“Quando mia moglie era malata non sono stato infelice. Avevo degli abissi di dolore, ma non quando stavo con lei. Un mio caro amico veniva a trovarci al capezzale di mia moglie e si affacciava solamente per salutare. Poi quando mia moglie è morta mi ha telefonato per chiedermi se volevo che venisse a dormire da me. Mi stava dicendo che non mi lasciava solo, lui che poco prima non riusciva nemmeno a entrare nella camera d'ospedale. Era una sua incapacità. Dobbiamo insegnare ai bambini fin da piccoli a stare accanto alle persone che soffrono”, a nutrirsi della loro capacità di offrire se stessi, a mani vuote, perchè “apprendiamo tante cose, in primis a non sprecare il tempo che abbiamo”, conclude Piccinino.

30 maggio 2016

Voce, corpo, relazione




L'attrice e musicoterapeuta Miriam Gotti intona, insieme a una chitarrista, una bellissima canzone popolare “Sogna fiore mio” proveniente dal sud Italia. È una ninna nanna uscita in un disco di Lucilla Galeazzi nel '92, ma le sue note hanno un sapore più antico. Spiega Miriam, educatrice teatrale e pedagoga, che “è il canto di una mamma al suo bambino, con l'augurio che possa sognare il mondo e la sua bellezza”. Si può trovare facilmente la traduzione del testo sul web, ma la canzone va ascoltata nel dialetto d'origine per cogliere tutta la dolcezza e l'armonia. Vi è mai capitato che la vostra mamma vi cantasse una ninna nanna? Se non ne conoscete nemmeno una, questa è un alternativa eccellente.

Aver avuto delle ninne nanne è importante, ci racconta Miriam. A cinque mesi, ancora nella pancia della mamma, siamo in grado di sentire la sua voce, mentre solo al settimo riusciamo a sentire anche quella del papà. La relazione fra la mamma e il bambino comincia da una relazione vocale, “nella quale il bimbo si sente protetto e al sicuro, costruisce il primo legame con la madre e le basi di un linguaggio”. Perchè?

Partiamo dal principio. Il suono è un onda, una frequenza e quando un corpo è pronto a riceverne la vibrazione si crea risonanza. La scienza che studia le forme delle onde sonore si chiama cimatica: se si versa del sale su una superficie vibrante come un tamburo e si riproducono delle frequenze vicino ad esso vediamo che il sale prende forme diverse per ogni suono, forme geometriche. La mamma e il suo bambino: il suono si propaga dalle corde vocali e diventa un vero e proprio massaggio vibrazionale per il bambino perchè quando cantiamo le vibrazioni si propagano nelle ossa e nei tessuti liquidi e il nostro corpo assume all'interno nuove forme, la nostra acqua assume nuove forme, come il sale dell'esperimento. Da grandi è la nostra voce, col suo tono, la sua acutezza o gravità, la sua intensità, a vibrare dentro il nostro corpo e il tipo di vibrazione che fa muovere i nostri tessuti è il tipo di energia che ci abita. Ci sono molte teorie sui significati simbolici delle tonalità di voce, acute sono connesse all'aria, alle idee, vanno verso il cielo e sembrano tipiche delle persone che si lasciano trasportare dagli altri e rincorrono tutte le cose che si presentano nella loro vita. Le tonalità basse sono mascoline, connesse alla vita materiale e pratica e infatti le manager abbassano il tono della loro voce per risultare più incisive, più prestanti.



Il canto è un esigenza viscerale: ogni volta che cantiamo stiamo dinamizzando la nostra acqua interna. Il canto della mamma è armonia per le orecchie del bambino. Pensate a una mamma che comunica sempre urlando o con un tono di voce brusco, a scatti, tipico di quando si rimprovera. A livello inconscio il bambino sentirà caos, perchè il rumore è caos. Per questo il canto è benefico.

La risonanza è questione d'orecchio anche nelle relazioni umane. Quando siamo al telefono con un'amica e dal tono della sua voce capiamo che qualcosa non va, senza che lei ce l'abbia detto espressamente, succede che il suono ha aperto in noi un canale immediato a cui spesso non facciamo caso ma che ci tocca nel mezzo di un istante, l'impatto è emotivo. Continuiamo ad ascoltarla e quello che attiviamo è il canale verbale, che risponde alla logica, all'analisi e impiega più tempo per arrivare alle conclusioni, mentre il cervello emotivo capisce fin da subito che lei non sta bene.

29 aprile 2016

Quando l'amore non basta più: come trasformare una crisi di coppia in una rinnovata felicità





Il silenzio spesso è l'unica forma di comunicazione. Ci comunica che siamo arrivati in profondità, al nocciolo dei nostri problemi: non ho più parole, dicono a volte gli amanti. Ci insegnano le dottoresse Gloria Volpato e Francesca Scarano che le coppie che vanno in terapia a volte non si conoscono: “Questa cosa di te non la sapevo”. E di solito quando l'uomo o la donna all'interno della coppia riescono a mostrare la loro vulnerabilità, a rompere il silenzio, “poi succede che l'altro se ne prende cura, come se avesse fra le mani un dono prezioso”. Parlare d'amore non è facile, c'è chi dice che bisognerebbe guardarsi da chi elargisce consigli, ma qualche pillola di psicologia può venirci in aiuto.



Per cominciare la dottoressa Volpato ha voluto lanciare un messaggio di speranza per gli amori finiti. “Alla presenza del mio ex marito, sono molto commossa. Sono sempre più convinta che se l'amore c'è stato, allora entrambi ne escono vincenti, perchè quando si ama si fa un dono all'altro, quello di riuscire a incontrare parti di se' che altrimenti, senza la forza scatenante della passione, non conosceremmo mai: le nostre parti in ombra”, l'aspetto infernale dell'amore. “Ci innamoriamo di qualcuno perchè inconsciamente sappiamo che quella persona tirerà fuori il meglio ma anche il peggio di noi stessi. Quando sappiamo guardare ad un rapporto d'amore come ad un percorso di conoscenza autentica di noi stessi ne usciamo sempre vincenti”.



Non ci credete? Forse perchè confondete il dolore inevitabile che bisogna attraversare quando una storia finisce (se vuoi vedere di cosa si tratta, vai a sbirciare questo video dell'artista Marina Abramovic, proiettato a fine conferenza ), con la fatica logorante di rimanerci attaccati. Perchè rimanere attaccati a un amore finito ci logora? “Per risanare una crisi di coppia bisogna essere in due, altrimenti è come nuotare controcorrente, che infondo è una forma di resistenza al cambiamento”.



“Innamorarsi è facile, semplicemente accade”, continua la dottoressa Scarano “la vera sfida è continuare ad amarsi anche dopo che sfiliamo via le lenti rosa, quelle che ci fanno vedere l'amato o l'amata come un Dio o una Dea”. Superare la fase che gli psicologi chiamano luna di miele. “Ed è impressionante scoprire quante persone credono all'eternità della luna di miele. Se non sento più le stesse forti emozioni che sentivo all'inizio allora vuol dire che non sono più innamorato, pensano in molti”. Ma non è così, “tutti i rapporti di lunga durata vanno incontro a delle fisiologiche crisi, che possono essere un modo per conoscerci meglio”, sfatare alcuni miti che abbiamo sull'altro e aprirci a nuovi interrogativi.



Ciò che molto spesso porta al fallimento di una relazione è l'eccessivo carico emotivo che chiediamo al partner di riparare. “E' come se a un certo livello ci augurassimo di poter ritrovare quel paradiso perduto che non c'è stato nel periodo precedente oppure nella nostra storia familiare”. Ecco che allora ci trasformiamo, senza rendercene conto, con le nostre pretese e il dito puntato contro l'altro, in bambini. “Quello che dovremmo chiederci è: cosa sto cercando di non sentire se vengo da te in maniera così violenta?”. La rabbia nasconde spesso la paura, la vergogna, la fragilità. “Quando non vogliamo provare il dolore e la paura che l'altro ci provoca finiamo per nascondere i nostri sentimenti con maschere e ruoli” (se vi interessa approfondire, lo stile isolato, lo stile disorientato, lo stile isterico, lo stile del potere).

A conclusione, un elogio alla poesia: chi voleva fra i presenti pronunciava ad alta voce una parola, per condividere ciò che provava in quel momento rispetto ai temi affrontati. “Dialogo, attaccamento all'idea che ho di me, vulnerabilità, equilibrio, impegno, vita, sofferenza, speranza, visione, cura, leggerezza, scintilla, gratitudine, paure, tutto torna, conferma, lotta, spazio per me, aiuto reciproco”.


Risvegliare l'energia


Ospite d'onore a Ranica, presentato dalla sua allieva Francesca Scarano che collabora con il Centro Divenire, è Luciano Marchino, uno psicoterapeuta impegnato.





Si occupa di bioenergetica, nel 1974 fonda e diventa direttore dell'Istituto di Psicologia Somatorelazionale IPSO di Milano. È anche direttore del Centro di Documentazione Wilhelm Reich, analista bioenergetico, docente all’Università di Milano-Bicocca, trainer dell’International Institute for Bioenergetic Analysis di New York fondato da Alexander Lowen, suo maestro. Di lui raccoglie, traducendo per anni e pubblicandone infine i saggi nel volume L'arte di vivere, il lavoro. Da un estratto dell'introduzione al libro, a cura di Luciano Marchino: “Se sino a oggi avevamo rinunciato a vivere, accontentandoci di rappresentare di noi stessi solo la versione socialmente accettabile, egli (Lowen) ci ha invitato a essere pienamente e senza riserve e ci ha fornito un metodo di ricerca da cui sarà impossibile prescindere per chiunque abbia assaggiato, sia pure per un solo istante, il gusto dell’autenticità”.
L'analisi bioenergetica è un'estensione dei concetti sviluppati da Wilhelm Rech. La tesi fondamentale è quella dell'identità funzionale tra corazza muscolare e corazza comportamentale ovvero tra l'atteggiamento fisico di una persona e la struttura del suo io. Il corpo si comporta come noi ci comportiamo. Detta così pare una tautologia e in effetti questo è ribadito da Marchino: “se insulti il tuo corpo stai insultando te stesso”, in aperta polemica contro gli psicanalisti che “ fanno tutto senza corpo e poi mandano i loro pazienti a fare yoga”.
Lowen prosegue il lavoro di Rech, il tema ha un sapore attualissimo: “La persona che è in contatto col proprio corpo è consapevole delle proprie tensioni, quindi si può assumere la responsabilità del proprio benessere. L'illusione che la società possa cambiare senza un preventivo cambiamento della struttura caratteriale dei suoi membri è stata discussa da W. Reich in Psicologia di massa del fascismo”.
Ma perchè nelle ricerche di Marchino il corpo è così importante?
“Da bambini subiamo un processo di mortificazione del corpo, veniamo addomesticati a vivere dentro la domus, anni fa eravamo contadini che vivevano negli ampi spazi della campagna e questo cambia anche solo gli orizzonti fisici con cui entriamo in contatto. L'occhio viene abituato a percepire distanze molto più piccole nelle quattro mura di un trilocale in città”. Oggi che viviamo di uno stress cronico diventa importante, come dice il titolo della conferenza, liberare l'energia e questo è l'intento della bioenergetica, perchè “sono molti i modi in cui imbrigliamo quotidianamente la nostra energia, il lavoro, un'alimentazione compulsiva, la masturbazione compulsiva, tutti modi per non sentirci. L'energia è un contatto profondo con noi stessi, che cos'altro sarebbe l'illuminazione del Buddha?”
Ma un profondo contatto con noi stessi capita di perderlo quando sentiamo emozioni troppo forti o troppo spiacevoli, che rinchiudiamo nel corpo come in casseforti, sotto forma di contrazioni. “Noi cerchiamo di entrarci lentamente con la terapia. A tal punto ritornano ricordi sgradevoli ma anche una nuova energia. Si tratta di avvicinarsi sempre più a quel nucleo originario di quando eravamo bambini, prima che tutti i condizionamenti esterni ci castrassero per costruire una versione socialmente accettabile di noi”.

Un po' di follia in primavera



scena del primo episodio televisivo: CC cerca di baciare Alice

Alessia Gazzola (che ho intervistato qui) è autrice veronese della serie che è in vetta alle classifiche da qualche tempo, cominciata con il romanzo “L'allieva”, da lei stessa definito un misto fra noir, giallo e rosa, una tinta indistinta e originale di cui va fiera (ce l'ha detto a Treviglio). C'è la storia di una giovane donna intenta a realizzare se stessa, c'è un triangolo amoroso tipico dei Best Seller del secolo, e poi il mistero: i casi di omicidio da risolvere. Qui la recensione del suo quinto libro.

Titolo: Un po' di follia in primavera

Autore: Alessia Gazzola

Editore: Longanesi

Genere: romanzo noir, rosa, giallo

Pagine: 298

Prezzo di copertina: 14,36 euro

Anno di pubblicazione: 2016

Trama: Alice Allevi è una specializzanda in medicina legale che vive a Roma con la sorella del suo ragazzo Arthur e fa tutto fuorchè studiare; ma è una fortuna perchè col suo zampino si risolve il caso che si presenta una mattina all'ispettore di polizia Calligaris, l'omicidio di uno psichiatra conosciuto nell'istituto di medicina legale, chiamato spesso come consulente alle indagini. La pista non fa emergere alcun nome, solo sospetti finché una dichiarazione improvvisa di un ospite dell'ospedale psichiatrico stravolge le indagini. Nel frattempo la vita sentimentale di Alice ha avuto una svolta, un anello imprevisto bussa alle porte del suo cuore e alla verità nascosta nel profondo dentro di lei, che qualche volta si scuote ancora alla presenza del suo maestro e mentore, sadico e bello dottor CC. Quale sarà la giusta pista da percorrere?

Commento: la trama si snoda in un crescendo emotivo che intreccia le vicende dell'assassinio, nel quale Alice svolge un ruolo chiave, aiutata dalla dote dell'avventatezza e da un coraggio tutto da invidiare, e le vicende amorose/sentimentali che scuotono la sua concentrazione e che spesso sono determinate da piccoli incontri, all'apparenza casuali, ma carichi di significati per le indagini. Il risultato è un libro snello che si divora in poche ore. Traccia ideale per una serie televisiva: la Rai ha comprato i diritti e ha ideato una fiction (è già in streaming la prima e la seconda puntata) con Alessandra Mastronardi nel ruolo di Alice, bella e dall'aria caparbia come la protagonista. Lo consiglierei ad un pubblico che ha voglia di svagarsi con la lettura. Accattivante, arricchito dal mistero delle indagini che non sono mai troppo macchinose, né prevaricano la vita di Alice, un buon equilibrio fra le aspirazioni della protagonista, le sue intuizioni professionali e il romanticismo, che l'attrae verso le sfaccettature dei rapporti umani, tenendosi astutamente alla giusta distanza, senza starne mai troppo lontana.

sabato 8 ottobre 2016

Cinque minuti con Alessia Gazzola


Oggi sono andata a Treviglio al talking della giornalista di Repubblica Annarita Briganti con Alessia Gazzola, autrice de "L'allieva" e i quattro romanzi che seguono tutti incentrati su Alice Allevi, specializzanda in un istituto del tutto particolare..


Ecco le domande che le ho fatto, è un audiointervista di tre minuti facile da scaricare.

A breve pubblicherò le curiosità che l'autrice ha svelato al pubblico e una recensione dell'ultimo libro della serie, Un po' di follia in primavera, Longanesi (l'ho trovato molto intrigante, anche se non avevo idea della trama dei precedenti).

martedì 27 settembre 2016

Esercizi di meraviglia


una storia di mamma con filosofia



Esercizi di meraviglia

Vittoria Baruffaldi

Einaudi editore

Saggio-testimonianza sulla maternità

130 Pagine, fatte di 47 brevissimi capitoli

13,50 Euro

Anno 2016

Affrontati con dovizia di particolari e dolcezza di gesti, i temi più importanti della maternità, del mondo che si spalanca davanti agli occhi dell'adulto quando ha fra le braccia un bambino, sono qui presentati nella forma dell'episodio filosofico. Si connette così una teoria centenaria a una fase di vita, una domanda a cui rispondere, un dubbio di madre. Come mai mio figlio si ferma con sguardo assente mentre parliamo della giornata? Come mai i bambini si incantano? Come affrontano le cose belle e le cose brutte? Come mai non hanno bisogno di un selfie che immortali un presunto momento di vita? Da Aristotele a Montaigne, passando per Khun, Kierkegard, Hegel, Cartesio, Socrate, Protagora e molti altri, con una destrezza e un'agilità tipiche di madre, apre questioni senza chiuderle, chiacchierando con i filosofi che hanno costituito il blocco monolitico della sua formazione a proposito della sua prima esperienza di mamma, chiedendo loro consigli perchè per essere madri non c'è una formula, il cammino si traccia sulla sensibilità di chi lo percorre, sul coraggio di viverlo nel modo in cui siamo fatte ora. I compleanni, l'andare a gattoni, la prima lallazione, l'asilo, la tara delle speranze altrui sono argomenti raccontati con serietà mascherata a leggerezza, che non lascia mai scappare via il cruccio degli enormi interrogativi.

Si può leggere questo libro con una tazza di tè al mattino presto anche se dopo bisogna andare al lavoro o in un pomeriggio annoiati, perchè i momenti di nostalgia dell'infanzia che l'autrice ci regala come pillole vanno bene ad ogni occasione. Il freddo di là fuori viene scartato come la carta di un cioccolatino per insinuarci dentro all'euforico periodo della gestante, poi alla simbiotica vita-senza-più vita della neo mamma, alla sua routine senza fine fatta di bava e latte, notti insonni, disordine, occhiaie, svelandoci senza peli sulla lingua che “le madri nascondono tutto: tirano per bene la copertina, dagli angoli, sui bisogni, sorridendo eternamente soddisfatte”. Ne esce la Vittoria “mamma” che costruisce protettiva la caverna per il suo bimbo, mondo su misura senza spigoli accanto a un'altra persona, la Baruffaldi “filosofa” che ci illumina con brevi capitoli come nuvolette di un fumetto su quel che eravamo, in fasce e come forse siamo anche ora, per chi ha la fortuna di vedere in fondo a se' la sua anima di bambino.

Per connettersi con Vittoria Baruffaldi, vai al suo blog La filosofia secondo babyP

mercoledì 21 settembre 2016

Trasformare gli spazi, trasformare noi stessi


Una leggera lettura estiva che può diventare la prima sfida dell'autunno alle porte.

Il magico potere del riordino

Marie Kondo

Vallardi editore

Manualistica, area del benessere psico-fisico

247 pagine che si mangiano in poche ore

13,90 euro

Anno 2014

Un manuale dallo stile svelto e frizzante sull'arte del riordino che vi segue passo per passo in questo evento eccezionale da fare una sola volta fino in fondo per non pensarci più. È l'autrice stessa a garantirci che nessuno dei suoi allievi (Marie Kondo tiene corsi privati alle casalinghe e ai manager d'azienda in Giappone e in altri paesi) ha subito l'effetto boomerang e con estrema fiducia nelle sue linee guida ci conduce attraverso le fasi di selezione e di collocazione di tutti gli oggetti della nostra casa, ci insegna a riordinare per categorie, a piegare i vestiti in modo da occupare poco spazio nei cassetti e a decorare con originalità l'interno degli armadi, non prima di averci invitati ad una accurata riflessione sullo stile di vita che vorremmo per noi. Non ci risparmia nessuno dei trucchi (o regole) che ha testato su di se' e di cui ha decretato l'efficacia dopo anni di esperienza, nata da una passione che l'ha spinta a passare i pomeriggi dopo scuola fin da quando aveva cinque anni nel suo piccolo appartamento di Tokio a riordinare cassetti.

Dopo la lettura non ho resistito all'impulso e ho deciso di cominciare con la pratica. Il magico potere del riordino mi ha resa consapevole di cosa possiedo e non è poco: nella cultura giapponese il riordino è una questione spirituale oltre che materiale, con le cose si riordinano le idee e questo ci rende fiduciosi. Per due settimane ho buttato e riordinato vestiti, fogli, libri (oddio che peccato mortale buttare i libri! E invece no, se leggete il terzo capitolo lo capirete), cartoni impolverati di ricordi, sacchetti contenenti costumi da ballo di quando avevo sei anni e piano piano, con cura e fatica, ho scelto. Mi sono spinta a domandarmi, uno dopo l'altro, che significato ha per me? (se non sapete come liberarvi di una cosa, c'è una sezione al capitolo secondo che vi spiega i meccanismi mentali da cui guardarsi). Per Marie Kondo scegliere con cura è un'attività che ci porta a contatto con noi stessi e, una volta selezionato, essere circondati delle sole cose che ci piacciono e prendercene cura ci rende felici. Gli oggetti abbandonati in un antro oscuro dell'armadio ci guardano con tristezza e dentro di noi regna un gran caos. Un'amica molto più concreta di me una sera mi ha raccontato di quando nel preparare la valigia per il mare aveva bisogno di una fascia per capelli che a cose normali le sarebbe costata interi cassetti rovesciati, ma dopo aver letto il libro di Marie Kondo sapeva benissimo dove si trovava! Le luccicavano gli occhi. Riordinare illumina! Di più, secondo l'autrice dopo aver effettuato l'operazione di riordino completo della nostra casa (o anche solo della camera da letto), aumentano le probabilità che la nostra vita cambi in modo radicale e di fare incontri interessanti. Un libro che si può trasformare in un'avventura.

martedì 5 luglio 2016

Intervista a Ugo Cornia. Scrittore di morti tragiche in "Sulla Felicità a Oltranza"


Intervista a Ugo Cornia



Giovedì 7 luglio Ugo Cornia verrà a Ponteranica alle 21 a presentare la sua ultima fatica intitolata Buchi, nel giardino del Po.Bo. Lo scrittore modenese classe '65 entra in contatto e in amicizia con Valentina della libreria indipendente Palomar di Bergamo quasi quindici anni fa, dopo che nel 1999 vince il premio letterario di Bergamo con il suo primo romanzo Sulla Felicità a Oltranza, che l'autore aveva appena trent'anni. Questo romanzo, umoristico e al tempo stesso struggente come mai, racconta le vicissitudini dell'autore in un momento tragico della sua vita, in cui ha visto morire nel giro di pochi anni prima la zia poi la madre e in ultimo il padre. A causa di quella cosa che lui chiama “hobby” ha vinto anche il premio letterario di Pisa nel 2004 con il romanzo Roma.
Ugo insegna lettere e storia al liceo artistico di Modena e attualmente ha vinto un dottorato di studi.

Si sente più scrittore o insegnante?
Di lavoro faccio l'insegnante, ormai da vent'anni. Lo scrivere preferisco prenderlo come un piacere.

Si ricorda quando Sellerio ha pubblicato Sulla Felicità a Oltranza? Come si è sentito?
Dopo alcune peripezie un giorno Sellerio ha chiamato dicendo che intendeva pubblicarlo e io ero contento. Come chiunque scrive, in genere uno è abbastanza contento di pubblicare.

Perchè un'autobiografia?
Mi è venuto da scrivere così non è che ci ho pensato, un po' dati i fatti che mi sono successi a un certo punto mi è venuto naturale raccontarli, mi è venuto spontaneo. Mi piacevano molti autori che scrivono in prima persona, amo Cèline oppure Thomas Bernhard. Mi viene più facile.

Cosa c'è di aggiuntivo nello scrivere in prima persona?
Non ho il giudizio che una cosa in prima sia meglio di una in terza. Forse mi sembra un pelo più onesto per come io sono abituato a usare la parola fra me e me. Ma ho apprezzato tutte le cose di Kafka anche se sono in terza. Poi uno è quello che è.

Dicono tutti di lei che usa un linguaggio immediato, sia in Felicità che in Buchi, a me è venuto in mente il punto di vista del bambino del Sentiero dei Nidi di Ragno di Calvino.
Non so se la mia scrittura assomiglia a Calvino. Non mi ricordo niente dei Nidi. Da adulto non ho letto tanto Calvino. Questa cosa dell'infanzia viene tirata fuori inevitabilmente ma io adesso ho cinquant'anni per cui il punto di vista del bambino non ce lo vedo più di tanto,

Però quando ha scritto Sulla Felicità però ne aveva trenta.
Sì ma se fossi nato sotto l'impero romano sarei dovuto essere morto già da un pezzo.

Chi ha scelto il titolo?
Il primo titolo mi è stato suggerito da Ermanno Cavazzoni a cui avevo mandato la bozza. In uno degli ultimi capitoli c'è mia zia che dice che “fra poco saremo tutti morti” parlando di Guzzano e quindi il titolo che mi era parso più rappresentativo era questo, anche se poi non è piaciuto alle case editrici.

In effetti è un po' tragico
Ma è una delle poche frasi vere sulla terra, non che sia contento di morire. Non so se sia per la scarsa propensione al consumo di quelli che stanno morendo, però sì, c'era una certa perplessità rispetto a quel titolo. Dopo due o tre proposte mi è venuto in mente “sulla felicità a oltranza” sul calco del titolo dell'ultimo capitolo e questo all'editore andava bene.

Definisce quel periodo della sua vita faticoso ma bello.
Per una certa intensità emotiva. Un po' come le cose del sesso. Emotivamente totale. Mi sembrava bello in quel senso lì, emozioni abbastanza forti in continuo. Intenso rispetto a periodi emotivamente smorti.

Ha a che fare col tema della noia?
Forse, o forse il tema di quelle cose che sono immediatamente vere.

Ci sono stati maestri/mentori o figure di riferimento significative nel suo cammino verso la scrittura?
Negli anni dell'Università avevo cominciato a frequentare Ermanno Cavazzoni e Gianni Celati e dopo ho sempre continuato a frequentarli. Tutti e due scrittori all'epoca già molto conosciuti.

E nonostante la sua passione per la scrittura, ha sempre considerato il lavoro di scrittore come un hobby?
Mah uno in genere va a letto con una per passione. Con l'arte ho sempre cercato di mantenere quel rapporto erotico amoroso, poi se ci guadagno moltissimi soldi sono anche contento, però mi sono sforzato di avere un altro lavoro per essere abbastanza libero. Se mi vien voglia scrivo se non mi vien voglia per sei mesi non scrivo una riga.

Le capita di non aver voglia per un lungo periodo?
Mi capita nella vita di avere altre cose da fare, periodi in cui naturalmente faccio dell'altro, ma di tutti i tipi insomma.

Le capita di avere un rifiuto per la scrittura?
No. E' difficile avere un rifiuto per una cosa che uno fa solo quando ne ha voglia.

Che senso ha la frase: “gli scrittori hanno il compito di soddisfare un bisogno che le persone non sanno di avere”?
Sono quelle frasi che mi mettono profondamente in imbarazzo. Anche i baristi possono soddisfare bisogni che le persone non sanno di avere, starsene delle ore al bar a ubriacarsi invece di buttarsi giù dalla finestra.

In questo caso qual è il ruolo specifico dello scrittore?
I ruoli sono sempre ruoli sociali, i ruoli sociali sono robe che c'entrano sempre un po' con la propaganda o con cose imbarazzanti. Non lo so, il mondo cambia continuamente. C'è chi sostiene che leggere è importante a prescindere, ma se uno si legge Mein Kampf è la roba più tremenda del mondo. Ho molto il piacere delle robe che vengono fuori spontaneamente, tutto il resto è un po' imbarazzante. Ci sono questi frasoni che la scrittura è una cosa nobile, che lo scrittore dovrebbe vederla più lunga degli altri mentre lo scrittore, a partire da me, è un povero c.. qualsiasi, ha il gusto di praticare questa specie di arte, che però immediatamente produce senso perchè è fatta di parole.

Per lei che senso ha scrivere?
A me la scrittura è una roba che piace, come mi piacciono i fumetti. Uno dipinge, un altro va a correre un altro va a fare il tifo allo stadio. Mentre scrivo non penso mai a chi leggerà. Se uno legge pensando alla roba che scrive si infilerà in brutti percorsi che andranno intorno a quello che lui vorrebbe dire o gli farebbero dire qualcos'altro e questo sega le gambe. Ci sono dei pezzi di Proust, che è uno che si è messo a ripensare a tutta la sua vita, pezzi belli che durano anche duecento pagine di fila e leggerli mi da un piacere forte, però che senso ha quella roba lì? Boh.

Oggi le piace sulla felicità a oltranza?
Non l'ho mai riletto. Mi può esser capitato nel corso di qualche lettura in pubblico e in genere i pezzi che ho letto mi soddisfacevano ancora e non me ne vergognavo però non mi capita di mettermi lì al pomeriggio e dire “ ah che mi rileggo”.

È affezionato a quel libro?
Sono affezionato a tutti i libri che ho scritto. Quello è stato il primo romanzo, per cui mi ha dato delle emozioni più forti. Un grande piacere per certe cose e un grande imbarazzo per altre.

Ci racconta quali imbarazzi?
Era il '99 sono passati diciassette anni.

Ci sono state paure/angosce, preoccupazioni o solo piccole esitazioni durante la stesura?
Paure o esitazioni da cancellare delle righe non ne ho avute.

Non ha mai avuto paura di quello che gli altri potevano sapere di lei?
No perchè la letteratura è letteratura, la stessa domanda a uno che dipinge un quadro sarebbe un po' ridicola. I romanzi sono dei pezzi finiti, come un po' degli oggetti artistici, come una musica o come un quadro, uno dice bello o brutto, mi piace o non mi piace... Ho usato la parola “figa” in certe parti, non provo imbarazzo, proprio al premio Bergamo mi era stato chiesto come mai avevo usato quella parola e io avevo risposto che “vagina” non riesco a dirlo nella mia vita reale, è una parola da medici. Altre cose che potevano imbarazzarmi riguardo mia madre non le ho quasi mai lette in pubblico, tagliavo io. Poi non mi sembra di aver scritto cose particolarmente imbarazzante.

Non ha mai fatto delle cesure?
Non so, se le cose che dico sono vere non le trovo imbarazzanti. Poi scrivere è un azione molto a distanza: io sono in un angolino di casa mia, completamente al di fuori da tutto e faccio questa cosa che mi da piacere. Se altra gente è interessata, ride, piange, mi fa molto piacere. E' più il parlare che mi disturba. Quando una cosa diventata una cosa scritta la sua natura è altra. Se scrivessi un diario scriverei roba diversissima.

Tiene un diario?
Non sono in grado. Forse ho del riserbo con me stesso. Nella mia testa penso, al di là che poi mi stanco, che se scrivessi un diario racconterei del falso perchè tenderebbe alla letteratura, e allora non è un diario, mentre io vorrei un diario che fosse vero. Il mondo scritto è una cosa il mondo vissuto è un po' un'altra.

Ci sono abitudini/riti, piccoli gesti nella sua vita quotidiana che conciliano il gesto dello scrivere?
No, semplicemente mi viene in mente una frase, una cosa e se ho tempo vado a scriverla.

C'è qualcosa che vorremmo sapere di Ugo in Felicità che non ci viene raccontato?
Questo dovrebbe chiederselo il lettore. Ho scritto quello che mi usciva, il lettore poi può farsi tutte le sue ipotesi. Ammettiamo che come tutti io abbia i miei segreti, ma non è che se io vado a letto con una io debba raccontarle i miei segreti o se scrivo un romanzo ci sia aperta la questione dei miei segreti. Il fatto che ci sia una specie di diritto ai propri segreti non lo trovo legato al mondo dello scrivere, può essere legato al mondo del confessionale se uno è cattolico o se uno ama la psicanalisi freudiana e pensa che tutto è rimozione, ma sono pensieri che io non ho mai fatto rispetto allo scrivere, ma neanche al vivere. Ci ho pensato rispetto a quelle persone bavose con le cose degli altri.

Però quando uno scrive di se' incontra delle parti che vuole tenere segrete.
Ma io non sono mai partito dall'idea dello scrivere la mia autobiografia, penso solo che stilisticamente la prima persona sia più facile e il fatto di usare la prima persona poi genera questa inerzia autobiografica fenomenale di cui mi rendo conto. In prima persona viene fuori tutto il soggetto nella sua ambiguità.

Lei si direbbe più un tipo introverso o estroverso?
È difficilissimo che io stia a chiedermi se sono introverso o estroverso. Ho un gran numero di amici, ma non so se sono introverso o estroverso.

Secondo me con gli estranei è piuttosto introverso.
Sono cresciuto con un'educazione normale di una volta.

Che rapporto c'è tra scrittura e tristezza?
Ci sono periodi che sono molto triste e mi vien voglia di scrivere e altri periodi che son molto triste e non mi viene per niente voglia di scrivere perciò non saprei, devono essere dei rapporti molto complicati. Ci sono anche tristezze che uno ha voglia di andare a passeggiare per ore perchè è l'unica cosa che possibile fare.

Come chiamerebbe l'ispirazione se dovesse esser simile a un emozione?
Quando uno scrive e sta bene, quella cosa lì che si diverte che va dalla commozione al ridere da soli è ispirazione.